(Tratto da La storia medievale attraverso i documenti, a cura di Anna Maria Lumbelli, Giovanni Miccoli, Bologna, Zanichelli, 1974)
“Quando il Profeta cominciò la sua predicazione, l’impero degli Arabi era diviso e la potenza di questo popolo infranta. Allah allora ne riunì le varie parti, pacificò gli spiriti, raccolse attorno a sé un gran numero di tribù yemenite e ismailite che abitavano la penisola. Queste credettero in lui, si sottomisero alla sua autorità e rigettarono in blocco la loro idolatria e il culto delle stelle; proclamarono ed esaltarono invece la grandezza, la divinità e l’unità di Allah e accettarono la pratica della legge mussulmana: essa consiste nel credere nella creazione del mondo, nella sua distruzione, nella resurrezione, nel giudizio finale e nella ricompensa nell’al di là, nel compiere opere pie, digiuni, preghiere, nel pagare la decima per l’elemosina, nel pellegrinaggio, nel disporre il bene e nel bandire il male, nell’obbedire, in una parola, a tutti i comandamenti della Legge. Il Profeta — che Allah lo benedica e gli conceda la salvezza — il Profeta visse solo pochi anni e alla sua morte egli ebbe per successori i suoi discepoli Abu Bakr, Omar, Otman e Alì — su di loro la benedizione di Allah —; costoro estesero le conquiste islamiche nel mondo, vinsero i re stranieri e s’impadronirono dei loro domini. Abd Allah al-Ma’mun […] compì l’opera iniziata dal suo avo al-Mansûr. S’impegnò a cercare la scienza lì dov’era e, grazie all’altezza del suo intelletto e alla profondità della sua intelligenza, la trasse dai luoghi dove si nascondeva. Stabilì rapporti con gli imperatori di Bisanzio, fece loro ricchi doni e pregò loro di fargli dono dei testi di filosofia che essi possedevano. Gli imperatori gli inviarono opere di Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno, Euclide, Tolomeo, ecc. che essi possedevano. Al-Ma’mun scelse allora degli insigni traduttori che incaricò di tradurre nel miglior modo possibile queste opere. Essendo stati tradotti i testi con tutto l’impegno possibile, il califfo esortò i suoi sudditi a leggerli e li spronò a studiarli. In seguito l’interesse alla scienza si diffuse in tutto il regno di questo principe. I più accorti a gara si accinsero allo studio perché vedevano che il loro signore era pieno di considerazione per i cultori della scienza e ammetteva i saggi alla sua intimità. Questo fu fino alla sua morte, l’atteggiamento del califfo […]. L’impero abasside in quel momento, gareggiava quasi con quello romano all’epoca del suo splendore e della sua massima potenza. Cominciò tuttavia a entrare in crisi subito dopo e alla fine del III secolo dall’Egira il potere dei califfi cominciò a vacillare e divenne preda dei favoriti e dei mercenari turchi. Da allora si cominciò a trascurare lo studio delle scienze essendoci continui disordini fino al momento in cui, nel nostro tempo, ebbero nuova diffusione. Allah sia lodato in ogni circostanza.”