(Tratto da Res Gestae Divi Augusti, a cura di Antonio Guarino, Milano, Giuffrè, 1968)
“1. In età di diciannove anni, di mia iniziativa ed a mie spese misi insieme un esercito, per mezzo del quale ottenni la liberazione dello Stato, che era oppresso dal dominio di una fazione politica. Per questo motivo, il senato, sotto il consolato di Gaio Pansa e Auto Irzio, decise di annoverarmi a titolo di onore tra i suoi membri, concedendomi il rango di consolare per l’espressione del mio parere, e mi affidò il comando militare. ‘Ordinò inoltre che io, in qualità di propretore, provvedessi insieme con i consoli a che to Stato non avesse a soffrire alcun danno. Lo stesso anno poi, essendo caduti entrambi i consoli in guerra, il popolo mi fece console e triumviro per la ricostruzione dello Stato.
2 Mandai in esilio coloro che avevano assassinato il padre mio, punendo il loro delitto con procedure legali, e poi, muovendo essi guerra alla repubblica, li sconfissi due volte in campo aperto.
3 Spesso combattei guerre civili ed esterne per terra e per mare in tutto il mondo e, vincitore, perdonai a tutti i cittadini che mi chiesero grazia. Le genti straniere, cui senza pericolo si poté perdonare, preferii risparmiarle anzi che sterminarle. Circa cinquecentomila cittadini romani militarono sotto di me. Di essi, poco più di trecentomila, terminata la ferma, inviai in colonie o rimandai ai loro municipi e a tutti assegnai terreni o diedi somme di danaro come premio per il servizio prestato. Catturai seicento navi, senza contare quelle di classe minore delle triremi.
4 Due volte ebbi un’ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi curuli e fui acclamato ventun volte imperator, mentre il senato mi decretò un numero ancor maggiore di trionfi, che io tralasciai di celebrare. Deposi l’alloro dei fasci nel Campidoglio, sciogliendo i voti che avevo pronunciato in ciascuna guerra. Per le imprese felicemente compiute, per terra e per mare, personalmente o per mezzo di legati con auspici presi da me, cinquantacinque volte decretò il senato the fossero da rendersi solenni ringraziamenti agli dei immortali. I giorni, durante i quali avvennero pubbliche cerimonie di ringraziamento per senatoconsulto, furono ottocentonovanta. Nei miei trionfi vennero condotti davanti al mio carro nove tra re e figli di re. Ora che scrivo sono stato tredici volte console e sono nel trentesimi anno di potestà tribunizia.
5. Non accettai la dittatura che, sotto ii consolato di Marco Marcello e Liicio Arrunzio, fu offerta a me assente e poi presente dal popolo e dal senato. Non cercai di esimermi, in un momento di somma carestia di grano, dalla direzione delI’annona, che amministrai in modo tale da liberare in pochi giorni, a mie spese e con la mia vigilanza, dal timore e dal pericolo incombente tutta la città. E non volli accettare neppure ii consolato, che allora mi fu offerto annuo e a vita.
6. Sotto il consolato di Marco Vinicio e Quinto Lucrezio, indi sotto quello di Publio Lentulo e Gneo Lentulo, e una terza volta sotto il consolato di Paolo Fabio Massimo e Quinto Tuberone, mentre il senato ed il popolo romano erano concordi nel ritenere che io dovessi, solo e con la massima potestà, esser nominato curatore delle leggi e del costumi, non volli accettare l’offerta di una magistratura in contrasto col costume dei nostri padri. E quelle attività che allora il senato volle fossero compiute da me io le espletai avvalendomi della potestà tribunizia, nella quale io stesso cinque volte spontaneamente chiesi ed ottenni dal senato un collega.
7. Fui uno dei triumviri per la ricostruzione dello Stato per dieci anni di seguito. Sino al giorno in cui scrivo sono stato principe del senato per un periodo di quarant’anni. Fui pontefice massimo, augure, membro dei quindecemviri addetti al compimento dci sacri riti, membro dei settemviri addetti ai pubblici conviti, fratello Arvale, sodale Tizio e feziale.
8. Nel mio quinto consolato, per incarico del popolo e del senato accrebbi il numero dei patrizi. Tre volte scelsi i nuovi senatori. E nel mio sesto consolato, avendo a collega Marco Agrippa, feci il censimento della popolazione, celebrando il lustro dopo quarantadue anni dall’ultimo: in quella occasione furono censiti quattro milioni sessantatremila cittadini romani. Sotto il consolato di Gaio Censorino e Gaio Asinio, ripetei il lustro da solo con l’imperio consolare: in quella occasione furono censiti quattro milioni duecentotrentatremila cittadini romani. Per la terza volta, con imperio consolare, celebrai il lustro sotto il consolato di Sesto Pompeo e Sesto Apuleio, avendo a collega mio figlio Tiberio Cesare: in esso furono censiti quattro milioni novecentotrentasettemila cittadini romani. Con nuove leggi, proposte per mia iniziativa, richiamai in vigore molte costumanze dei nostri maggiori, che ormai stavano scomparendo dalla vita dei nostri tempi; ed io stesso offrii alla posterità esempi di molte cose da imitare.
9. Il senato decretò che ogni quattro anni si facessero voti per la mia salute dai consoli e dai sacerdoti. In seguito a quei voti, alcune volte i quattro massimi collegi sacerdotali, alcune volte i consoli, indissero pubblici giochi in segno di ringraziamento per la mia sanità. Anche i cittadini tutti, in privato e per municipi, elevarono preci unanimi e continue presso tutti gli altari per la mia salute. 10. Il mio nome è stato incluso per senatoconsulto nel carme saliare e per legge è stato sancito che io fossi sacrosanto per tutta la vita e che per tutta la vita avessi la potestà tribunizia. Per non divenire pontefice massimo al posto di un collega vivo, ricusai questo sacerdozio, che aveva tenuto il padre mio, pur offrendomelo il popolo. Accettai quel sacerdozio qualche anno dopo, sotto ii consolato di Publio Sulpicio e Gaio Valgio, alla morte di colui che lo aveva occupato in occasione di torbidi interni; e ai comizi per la mia elezione accorse da tutta Italia tanta moltitudine, quanta mai ve ne fu a Roma, per quel che si narra, sino a quel giorno.”